RASSEGNA STAMPA

IL MANIFESTO - Sull'onda del G8

Roma, 16 novembre 2008

SULL'ONDA DEL G8
«La Diaz? Dimostra che la crisi la paghiamo noi»
Andrea Gangemi

Qualcuno c'era perfino, in quelle calde giornate di luglio di sette anni fa. Molti ne hanno sentito parlare alla tv (poco) o soprattutto dai racconti degli amici o dei fratelli maggiori. Quasi una generazione fa, Genova. E per una curiosa coincidenza la tre giorni dell'Onda anomala ha coinciso con la chiusura dell'ultimo dei processi del G8, il peggiore. Apparentemente, ad ascoltare gli slogan e a guardare gli striscioni, non parrebbe esserci alcun richiamo a una stagione ormai passata. Ma a ben guardare non è proprio così.
Gironzolando tra i corridoi della Sapienza, aspettando l'inizio dei workshop pomeridiani, incontri gente come Antonio, 26 anni (19 ai tempi del G8), barese. Lui non c'era, «non avevo i soldi per il treno», capita. Ciò nonostante non si capacita: «Sono state riconosciute delle responsabilità e dei fatti, perché queste condanne a metà? Io tendo a mettere le cose singole - aggiunge - in un contesto più generale, dove c'entra anche il taglio dei fondi per l'università. È come se dicessero - spiega -: "È vero, gli indagati erano ventinove, però tredici sono stati arrestati"; che non è molto lontano dal dire: "La riforma è stata approvata, però parliamone». Fabrizio, venuto da Palermo, solo un anno più grande, «surfa» sulla stessa lunghezza d'onda, ma è più conciso: per lui «l'epilogo del caso Genova dimostra, a dispetto dei nostri slogan, che la crisi noi la stiamo pagando». Eppure l'amarezza si può trasformare in energia: Maria, 31 anni, a Genova c'era (24enne) ed è «incazzatissima, troppo facile assolvere». Inizialmente è la sola cosa che si sente di dire. «Però questa rabbia mi ha anche dato la forza di venire qui oggi», aggiunge dopo.
«Spillo», 28 anni, bolognese (21 al G8), non c'era «ma non posso dimenticare - spiega - i racconti diretti di tanti amici, quelle camionette della polizia che correvano a velocità per spezzare i cortei... Ma se parli in giro - aggiunge - le persone mediamente non lo sanno, è triste: sono staccate dalla realtà e non possono relazionarsi con chi è giovane e magari si veste in modo "strano" e protesta». A proposito della sentenza, per Spillo è chiaro: «La gerarchia dice che le colpe sono soprattutto di chi sta a capo». «Stiamo in acque melmose - commenta -: pochi giorni fa vicino casa ho visto la polizia picchiare un ragazzo che ha fatto l'errore di alzare la voce durante un controllo: e non erano pugni normali, si sentivano tonfi impressionanti».
Alessio, 25 anni (all'epoca 18) non poteva non esserci: è proprio di Genova. «I nomi della squadra si sanno tutti, eppure non si individua il singolo: un bel dilemma costruito a tavolino - dice -, come è chiaro dal fatto che alla Diaz non poteva entrare nessuna televisione. In Francia, invece - osserva amaro - dove pure i poliziotti sono particolarmente autoritari, almeno però hanno cucito addosso un numero grande come quello dei calciatori». «Ci sono, eccome, delle analogie tra il G8 e l'Onda. Basta pensare - aggiunge Alessio - che parte dei black block erano dei loro. E sentire - conclude - quello che dichiara oggi Cossiga sull'uso degli infiltrati». Eppure insieme a lui anche tutti i suoi compagni che gli stanno attorno sono sicuri: «Lo rifaremmo».